Noi di Libriamo Tutti abbiamo già avuto il piacere di incontrare Tito Faraci, prima nella sua veste di sceneggiatore di fumetti, poi come autore di due romanzi young adult: “Oltre la soglia” e “Death Metal”.
Leggiamo ora questo libro che è la sua prima esperienza nel romanzo per adulti, quasi che quei due per adolescenti ne fossero stati una preparazione.
“La vita in generale”, a una prima impressione, appare come una fiaba dove aleggia l’atmosfera di Miracolo a Milano o di un film di Frank Capra, ma, procedendo con la lettura, ci si rende conto che c’è molto di più.
E’ la storia della caduta e del riscatto di Mario Caselli, detto il Generale, capitano d’industria, che si ritrova a perdere improvvisamente tutto e a scegliere di scomparire dal suo mondo per andare a vivere con gli invisibili, i barboni della città di Milano.
Chi sia divenuto il Generale e quale esercito si ritrovi a guidare dopo la rovina professionale e familiare, lo dice l’incipit del libro:
“Potreste averlo incontrato. Senza vederlo, senza volerlo vedere, potreste averlo incontrato. Potrebbe avervi teso la mano unta e callosa… Potreste essere stati sfiorati da un alito di pessimo vino in cartone. Uscito da una bocca che un tempo comandava. E lo fa ancora, in un mondo invisibile, Un mondo di invisibili.”
Utilizzando con sicurezza le tecniche della sceneggiatura, di cui è un maestro riconosciuto, Faraci crea un intreccio che attinge a generi diversi e li contamina in qualcosa del tutto originale. Come non pensare infatti al romanzo popolare, al Conte di Montecristo, leggendo del Generale che vendica il tradimento degli amici, risorgendo dalle sue ceneri; o al noir, nelle scene di agguati e scontri tra bande; ma anche alla farsa, quando i barboni si contendono “un giubbotto bello, tipo di pelle” recuperato in un cassonetto.
Il linguaggio è asciutto, essenziale, come si conviene a uno sceneggiatore di fumetti abituato a non avere parole da sprecare e il registro è leggero, da commedia, senza i proclami della denuncia sociale né tantomeno cadute nel dramma. Eppure, con questi strumenti, Faraci ci pone una profonda domanda esistenziale di base: come vi sentireste se, all’improvviso e irrimediabilmente, vi trovaste a perdere tutte le certezze che si danno per scontate nella vita? Che è poi il senso del titolo del libro stesso, spiegato dal Generale in un punto cruciale della storia.
“La vita in generale va avanti, con le solite cose date per scontate: avere qualcosa da mettere nel piatto, avere un posto per dormire, avere famiglia e amici. Questa è la vita in generale. Che sembra ai margini, e invece è il centro di tutto.
Io lo so, perché l’ho persa. Ho perso quella vita e, quindi, sono morto”
Allora ci si rende conto che il libro parla di umanità: uomini poverissimi che ne sono ricchi, nonostante tutto, e uomini ricchissimi che la smarriscono tra egoismi e insoddisfazioni.
Umanità anche dell’autore che si coglie da certi particolari, come l’omaggio ai “suoi” fumetti: “Mario…prova tenerezza per quell’ometto che sarebbe più giusto chiamare Cico , come il paffuto compagno messicano di Zagor” e a Milano, la sua città, ambiente insostituibile della vicenda:“Questa città, che è folla innumerevole e dispersa, formicaio senza geometria”